Stamattina, mentre andavo in macchina a lavoro, alla radio passavano La collina dei ciliegi di Battisti: E se davvero tu vuoi vivere una vita luminosa e più fragrante, cancella col coraggio quella supplica dagli occhi. Troppo spesso la saggezza è solamente la prudenza più stagnante e quasi sempre dietro la collina è il Sole.
A parte il fatto che è stata una bella partenza, che mi ha fatto planare sopra boschi di braccia tese e respirare brezze che dilagano su terre senza limiti e confini (cit.), ho pensato che è davvero sempre una questione di equilibrio tra il vincere la paura per affacciarsi su sorprendenti panorami e tenersi in salvo per non rischiare di sporgersi troppo e cadere nel vuoto.
Dov’è il limite? Come sempre, siamo condannati a inciampare per trovarlo, cercando di assaporare bocconi di bellezza, di scoprire nuove ricette e sapori, senza incorrere in menù di fuffa finta, o peggio, cibi avariati.
Però… che gioia quando tutte le papille gustative si attivano, il corpo tutto viene invaso da un’ondata di benessere, la mente si accende per capire quale alchimia nuova sia nel nostro palato e come riprodurla per sempre.
Certo, con i piatti, riconosco, è più facile. Se sono uno sperimentatore e mi imbatto in una schifezza, poco male, dopo qualche ora posso consolarmi con un piatto prelibato. Se sono un tradizionalista, le lasagne al ragù possono anche appagarmi per una vita intera e pazienza cosa mi perdo.
Nella vita è diverso. Non è dato mettersi al riparo nel nostro angolo preferito. Tutto passa e cambia.
Henri-Pierre Roché nel romanzo Jules e Jim, pubblicato nel 1953 da Gallimard e trasposto al cinema con il capolavoro omonimo di François Truffaut, indaga questo limite con grande poesia, offrendo un tributo generoso di parole e immagini alla freschezza della giovinezza, alla bellezza dell’incontro con l’altro, quando questo accade senza aspettative e pregiudizi, con il solo piacere di godere delle esperienze vissute insieme.
Il romanzo racconta la storia di un’amicizia che dura una vita tra Jules e Jim, molto diversi tra loro. Entrambi sono scrittori, si crea tra loro uno scambio fertile di pensieri, testi e vita, attratti ciascuno dalle caratteristiche così diverse ed attraenti dell’altro.
Jules è tedesco, piccolo e rotondo, ironico, dolce, un sognatore. Concepisce l’amore in senso assoluto, ma perde tutte le donne che ama, forse perché spesso si ferma a contemplarle, ma non coglie la vita fino in fondo. La prima donna che ama, Lucie, che rifiuta di sposarlo, dice di lui: “che delizia il nostro Jules. Non conosco un solo uomo che capisce le donne meglio di lui. Però, quando si tratta di prenderci… ci ama troppo e non abbastanza. È spirituale e carnale controtempo”.
A volte è questo il limite dell’introspezione. Se esasperata, porta ad avvitarsi nei propri pensieri, a ripiegarsi su sé stessi, anche a darsi un alibi per non uscire là fuori, a confrontarsi con l’altro, con il nuovo, il diverso.
Jim è l’opposto. È francese, alto e magro, determinato, deciso, veloce, irresistibile alle donne. Tutte le ragazze che incontrano nei loro viaggi, compresi gli amori di Jules, finiscono a letto con Jim, come una cosa inevitabile. Nelle conquiste Jim trova la sua sicurezza, perché non ha la forza dell’introspezione di Jules.
Un giorno Jules conosce una donna, Catherine, e se ne innamora. A Jim dice: “però lei no”. Inizia una bellissima frequentazione di tutti e tre, piena di gioco, di armonia, di spensieratezza.
Jules si innamora perdutamente, le chiede di sposarlo e lei accetta, con affetto e ragionevolezza, provando con lui come una felicità tra bambini. Jim si proibisce di guardare a Catherine come donna: troppo prezioso ciò che scaturisce da questo scambio di amore e amicizia a tre.
Poi scoppia la guerra e i due amici combattono l’uno contro l’altro, ma restano vivi.
Quando Jules parte per il fronte Catherine è incinta, quando torna hanno una seconda figlia. Ma il loro rapporto è triste, noioso, segnato dai continui tradimenti di Catherine, che cerca una via di fuga a troppa pacatezza.
Quando Jim torna a trovarli dopo la guerra si ricrea il loro cerchio magico, come una danza che fa sognare. Si amano e si rispettano nel profondo, accettano e godono delle proprie diversità. Finché anche Jim si innamora di Catherine. Jules allora lo invita a vivere senza remore quell’amore, perché preferisce che Catherine si leghi all’amico che ad altri, così potrà continuare a contemplarla, a starle vicino.
“La felicità si racconta male” scrive Roché, “perché non ha parole, ma si consuma e nessuno se ne accorge”.
Catherine e Jim si assomigliano molto ed il loro amore divampa con una fiamma forte, fatta di grandi passioni, tradimenti, l’impossibilità di avere un figlio, il cercarsi viscerale ed il ferirsi reciproco. Una lotta continua a cui Jules fa da spettatore, consolatore, amico sempre presente.
Di loro apprezza che, a differenza di sé stesso, sono pronti ad andare fino in fondo alle loro passioni. Sa di amarli, conosce i loro meccanismi profondi, le trappole delle loro anime ed è pronto a soffrire per averli vicini e continuare ad amarli.
In Catherine c’è un’istintività patologica, c’è la ricerca in ogni istante di stare a contatto con la vita, la creatività, la gioia a qualsiasi costo. È amabile, luminosa, è amata alla follia e risplende come una regina, è anche lei irresistibile. Ma nei momenti in cui si sente meno amata o non è al centro dell’attenzione, crolla nell’abisso della depressione, nel buio per nero. È pronta a ferire se viene delusa, se qualcosa le impedisce di essere felice, se si annoia.
Jim la segue. Con lei crolla a zero, con lei risale a cento.
Jules non conosce il loro zero, né il loro cento, ma alla fine è l’unico che si salva. Che si prende cura del suo e del loro amore e lo porta in salvo con sé.
Allora, chi ha più coraggio? Chi va davvero fino in fondo? Chi si butta ad ali spiegate senza curarsi delle conseguenze della paura del vuoto, o chi impara a tessere paracaduti per proteggere sé e i compagni di viaggio dalla caduta?
Fino a che punto possiamo condurci nella relazione con l’altro? Come si fa ad essere sicuri che tenere il contatto con noi stessi non ci tenga troppo distanti dalle occasioni di incontro, di vita?
Forse a volte vale la pena perdersi?
Avevano mai incontrato quel sorriso? – Mai.
Che cosa avrebbero fatto se un giorno l’avessero incontrato? – Lo avrebbero seguito.
Henri-Pierre Roché, Jules e Jim
Se volete contattare Elisa Zuri, potete scriverle a elisa.zuri@gmail.com.