Un libro, un incontro

Bartleby lo scrivano

di Herman Melville, Einaudi, 2006

Prima che finisse il tempo degli eroi, prima che James Joyce trasformasse Ulisse in un agente pubblicitario irlandese, prima che Robert Musil intitolasse programmaticamente L’uomo senza qualità il romanzo della sua vita, prima – insomma – che il Novecento facesse dell’antieroe il suo protagonista, un’incrinatura sottile ma inequivocabile aveva già attraversato la storia del pensiero occidentale.
L’incrinatura comincia nel 458 avanti Cristo con Oreste che esita nell’uccidere la madre Clitemnestra per vendicare la morte del padre Agamennone. Prima di allora, per quanto ne sappiamo, nessun eroe aveva mai esitato. Per un attimo Oreste si chiede se quel che sta per fare sia bene o male e l’azione si blocca. L’adesione al sistema di pensiero che governa il mondo, e quindi le nostre azioni, si incrina.
Nell’esitazione di Oreste si intravede l’abisso in cui, all’inizio del 1600, si perde Amleto, anche lui chiamato a vendicare il padre ucciso con la complicità della madre. Se Oreste può ancora salvarsi, grazie all’intervento divino, Amleto paga la sua esitazione con la vita. L’incrinatura tra l’eroe e il sistema di pensiero che governa il mondo è sempre più evidente. Ormai non si tratta più di riuscire a dividere il bene dal male e di agire di conseguenza. Con un passo ulteriore, Amleto si chiede se sia più nobile resistere alle ingiustizie o farla finita: insomma, essere o non essere?
In questo stallo abita Bartleby, l’anonimo scrivano protagonista del racconto scritto da Herman Melville nel 1853. In lui l’esitazione diventa progressivo rifiuto di agire. Nessuno – dio o spettro che sia – gli chiede di fare vendetta: ormai sono i gesti quotidiani a essere diventati insostenibili. Con mitezza irremovibile, a qualsiasi richiesta o proposta che riceve, Bartleby risponde: “Preferirei di no”. A distanza di oltre centocinquant’anni, la sua resistenza passiva, il suo sottrarsi alla vita ci spingono a chiedere, proprio come il narratore del racconto: “Per quale motivo?”. “Ma non lo capite voi stesso?”, risponde Bartleby. Qual è la nostra risposta? E quali nuove possibilità di resistenza, personale e condivisa, riusciamo a immaginare per non lasciarci morire?

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