Un libro, una camminata, un incontro
L’Ardore
di Roberto Calasso, Adelphi, 2016
È difficile immaginare qualcosa di altrettanto distante dall’oggi quanto ciò che apparve più di tremila anni fa nell’India del Nord sotto il segno del Veda, quel “sapere” che dichiarava di comprendere in sé tutto, dai granelli di sabbia sino ai confini dell’universo. Ancor più che nel tempo, quella distanza si avverte nel modo di vivere ogni gesto, ogni parola, ogni impresa. Gli uomini vedici prestavano una attenzione adamantina alla mente che li reggeva, per loro mai disgiungibile da quell'”ardore” da cui ritenevano si fosse sviluppato il mondo. E, qualsiasi cosa accadesse, acquistava senso solo in rapporto a un invisibile traboccante di presenze divine. Fu un esperimento del pensiero così estremo che sarebbe potuto scomparire senza lasciare traccia, così come gli uomini vedici lasciarono ben poche tracce tangibili del loro passaggio attraverso “la terra dove vaga in libertà l’antilope nera”. Eppure quel pensiero – groviglio composto da inni enigmatici, atti rituali, storie di dèi e folgorazioni metafisiche – ha l’indubitabile capacità di illuminare, con una luce radente e diversa da ogni altra, alcuni eventi elementari che appartengono all’esperienza di chiunque, oggi e dappertutto, a cominciare dal puro fatto di essere coscienti.